Non è facile parlare del dramma degli armeni con obiettività, ma ci proverò. Il dramma degli armeni risale al 1915, durante la prima guerra mondiale, quando diverse centinaia di migliaia di armeni furono uccisi dai turchi, con i quali fino ad allora vivevano pacificamente, o costretti a fuggire. Gli armeni lo chiamano genocidio, ma per la Turchia erano solo fatti di guerra.
Fino al 1915, molti armeni abitavano la regione stretta tra l’Impero Ottomano e l’Impero russo, che oggi corrisponde ad un altopiano nella Anatolia orientale, in Turchia. Armeni, di religione cristiana, e turchi, di religione musulmana, avevano vissuto pacificamente, fino a quando, nel 1914, i nazionalisti turchi si allearono con la Germania ed iniziarono a temere la collusione degli armeni con il rivale Impero russo. Come i tedeschi di Hitler costruirono il nemico causa dei loro mali negli ebrei, così i turchi ottomani identificarono il loro nemico da incolpare negli armeni.
Venne così creato il “problema armeno” che alcuni leader ottomani decisero di risolvere con lo sterminio e la deportazione. I soldati dell’esercito e le milizie curde locali spararono a vista agli uomini armeni, villaggi e quartieri armeni vennero saccheggiati e occupati, le donne vennero stuprate in massa e, alla fine, i sopravvissuti – colonne derelitte di donne e bambini – vennero sospinti in punta di baionetta verso gli aridi deserti della vicina Siria.
Del territorio abitato dagli armeni, pacificamente, fino al 1915, è rimasto solo un modesto territorio incastonato tra Turchia, Georgia, Azerbaijan, Iran, che è l’attuale Repubblica dell’Armenia, divenuta indipendente dall’Unione Sovietica nel 1991. La capitale della Repubblica dell’Armenia è Erevan.
Oggi in Armenia vivono solo 3 milioni di armeni, altri 8-10 milioni sono sparsi per il mondo, tutti con una ferita – ancora oggi – che fa fatica a trovare pace.
Un dramma, quello degli armeni, che ha molti punti in comune con quello degli Ebrei.