Gli utili avvoltoi sono a rischio di estinzione

Gli avvoltoi … sì quegli uccelli ingordi che sguazzano nel putridume di animali morti sono dei veri spazzini ambientali, diffusi soprattutto in Africa e in India. Tanto brutti quanto utili, la loro sopravvivenza è però minacciata da avvelenamenti e bracconaggio.

Vi siete mai chiesti come mai gli avvoltoi sono calvi, ossia privi di piumaggio sulla testa e sul collo? E’ la natura che ha pensato bene di non dotarli di piume in quelle parti del corpo, per evitare che sangue e viscere restino troppo attaccati al corpo quando l’avvoltoio affonda il capo in una carcassa. Disgustoso? Tutt’altro se si pensa che, senza di loro, le carcasse maleodoranti resterebbero più a lungo sul posto, le popolazioni di insetti si moltiplicherebbero e le malattie si diffonderebbero fra esseri umani, bestiame ed altri animali selvatici.

Gli avvoltoi hanno, infatti, la caratteristica di sfamarsi con una sorprendente rapidità; un avvoltoio può divorare un chilo di carne in un minuto e un gruppo consistente può spogliare una zebra da capo a coda nell’arco di mezz’ora. Il tempo dello smaltimento è cruciale per l’equilibrio e la salute dell’ecosistema e dei suoi abitanti; in assenza di avvoltoi, i corpi impiegherebbero quasi tre volte tanto a decomporsi, il numero di mammiferi che arriverebbero alla carcassa triplicherebbe e, siccome più lenti, si tratterrebbero quasi il triplo del tempo. Cosa significa? Significa che più l’animale morto rimane sul posto, più aumenta la probabilità di diffusione di agenti patogeni ad altri animali, sia selvatici che domestici. Inoltre, nell’apparato digerente degli avvoltoi, i succhi gastrici, altamente corrosivi, uccidono i batteri e rendono gli avvoltoi tolleranti alle tossine della carne in putrefazione, non è così per gli altri carnivori.

rapace-avvoltoio

Gli avvoltoi sono diffusi principalmente in Africa e in India, ma la loro popolazione si è ridotta notevolmente negli ultimi dieci anni. L’Africa ha già perso una delle sue 11 specie di avvoltoio (l’avvoltoio monaco) e altre sette sono a rischio o gravemente minacciate. In India, le popolazioni degli avvoltoi più comuni si sono ridotte di oltre il 96 per cento in appena 10 anni.

Le cause di questo preoccupante calo demografico sono imputabili ad avvelenamenti, bracconaggio, pratiche della medicina tradizionale e riduzione dell’habitat naturale.

Quando gli avvelenamenti sono indiretti, gli allevatori, cercando di proteggere il loro bestiame dai grossi predatori, cospargono una delle loro prede con un pesticida economico ad azione rapida provocando la morte dei predatori, ma anche degli avvoltoi che si nutrono delle loro carcasse, con gravi conseguenze anche di tipo sanitario.

Gli avvelenamenti diretti, invece, sono opera dei bracconieri, ormai responsabili di un terzo degli avvelenamenti causati agli avvoltoi nell’Africa orientale. I bracconieri cospargono di veleno un elefante abbattuto per l’avorio in modo che gli avvoltoi muoiano e quindi non avvisino i guardacaccia della loro presenza, volteggiando sopra i cadaveri di elefanti e rinoceronti.

L’uso di alcune parti degli avvoltoi nella medicina tradizionale è legato alla credenza che possano curare malattie o di infondere forza.

Ultima causa di morte violenta degli avvoltoi è la riduzione del loro habitat naturale a seguito dell’estensione di campi coltivati e di trivellazioni nei luoghi di nidificazione di specie a rischio; inoltre, gli avvoltoi muoiono anche sbattendo contro i fili dell’alta tensione.

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Per comprendere il calo repentino di questi volatili, occorre aggiungere anche che essi si riproducono molto lentamente; vivono fino a circa 30 anni, ma raggiungono la maturità sessuale tra i cinque e i sette anni di età, mettono al mondo un pulcino solo una volta ogni uno o due anni e il 90 per cento dei piccoli muore nel primo anno di vita.

La loro natura poco prolifica non può però giustificare avvelenamenti, diretti ed indiretti, che sono la causa immediata del declino di questi affascinanti rapaci.

Cinzia Malaguti

 

Fonte:

Elizabeth Royte, Lavoro sporco, National Geographic vol. 37 nr. 1

 

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